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notizie :: L'Omeopatia nella logica
della validità scientifica
Per gentile concessione del "Nuovo
Medico d'Italia" pubblichiamo
il seguente articolo in risposta alle
prese di posizione dei prof.ri Dulbecco
e Montalcini sulla Omeopatia.
Considerazioni, tra il serio e il
faceto, di un chimico,
con qualche riferimento scientifico
e storico su cui riflettere
L'omeopatia nella logica della
validità scientifica
di Andrea Dei (*)
La divulgazione dei dati ISTAT riguardanti
le scelte terapeutiche degli italiani
sembra stia suscitando una crescente
attenzione da parte dei mezzi di informazione.
La notizia che ormai nove milioni
di italiani si rivolgano per la tutela
della propria salute non solo alla
medicina tradizionale, insegnata nelle
università dello stato e utilizzata,
prescritta e burocratizzata dagli
organi preposti del servizio sanitario
nazionale, ma anche alle cosiddette
medicine alternative sta causando
clangore e polemica crescente sulla
validità di tale scelta. Il
tutto assume ancora maggiore rilevanza
se si considera che i dati statistici
mostrano che tale numero sta aumentando
in progressione geometrica col passare
del tempo.
Questo sembra essere mal sopportato
dai sostenitori della medicina tradizionale,
che nel giro di pochi anni sono passati
nel trattare il fenomeno dal sorriso
di scherno all'invettiva violenta
se non addirittura, usando una locuzione
in burocratichese, a ipotizzare la
criminalizzazione degli operatori
della salute che si avvalgono di tecniche
terapeutiche non tradizionali. Notissimi
nomi del mondo della medicina si sono
espressi in maniera pesante contro
tutto ciò che non era contemplato
dalla medicina accademica.
Sinceramente tuttavia quello che mi
ha più fatto riflettere sono
le parole e la posizione espressa
in particolare da due insigni scienziati
quali Levi Montalcini e Dulbecco a
difesa di Piero Angela presunto reo
di avere effettuato, per una volta,
una trasmissione sfortunata, nella
quale il conduttore si schierava patentemente
a sfavore dell'utilità
dei medicinali omeopatici, transducendo
motivi per la verità che dimostravano
tutto e il contrario di tutto meno
quello che andava dimostrato.
Come professore di chimica generale
mi guardo bene dal sottoscrivere le
teorie sulle quali si basa l'omeopatia
anche perché il criticare il
suo fondatore Hahnemann, che, quando
le ha formulate, non sapeva nemmeno
dell'esistenza delle molecole,
mi farebbe sentire come un astronomo
moderno che sproloquia sull'insussistenza
del sistema tolemaico. Guardo piuttosto
con sgomento quegli uomini di scienza
che, dimenticando principi fondamentali
della fisica, si sono dilettati, al
giorno d'oggi, a formulare ipotesi
improbabili sulla natura della cosiddetta
acqua omeopatica supportate da parimenti
improbabili evidenze sperimentali.
Tralascio altresì il fatto
che la gran parte di articoli che
ho letto sull'argomento riportasse
opinioni che mi sembravano espresse
sovente da persone poco pratiche non
solo sulla comune metodologia scientifica,
ma avessero anche un senso approssimato
delle dimensioni delle cose, confondendo
le pulci con gli elefanti. Per finire
dichiaro di non avere mai sentito
il bisogno di curarmi con l'omeopatia,
giacché mi piacciono le sensazioni
forti e mi basta la medicina tradizionale
con i suoi sovradosaggi.
Essenziale il medico bravo
L'unico problema che ritengo
essenziale è quello di farmi
curare da un medico bravo, che sia
padrone della diagnosi facile e equilibrata
(fatto questo non troppo difficile)
e le cui scelte terapeutiche abbiano
un fondamento farmacologico il cui
aggiornamento non sia dovuto solo
all'informatore, che lo ha visitato
nei giorni precedenti (ricerca questa
molto più difficile). Resta
il fatto tuttavia che nel recente
passato, ululando per una diagnosticata
sciatica, abbia passato dieci giorni
infernali, amorevolmente assistito
da un gruppo di medici di supposto
alto livello che correggeva la prescrizione
di tutti i farmaci preposti dal dettato
della medicina tradizionale facendomi
raggiungere un risultato nullo e che
un non laureato esperto in massaggi
energetici mi abbia fatto guarire
massaggiandomi una spalla per minuti
due. La quale cosa non ha certo suscitato
in me sentimento di ammirazione nei
confronti della perfezione della medicina
accademica.
La purezza dell'acqua
Ritornando all'omeopatia, tema
che per la sua diffusione sembra destare
la diatriba più aspra, come
chimico non posso fare a meno di sottolineare
un aspetto per me fondamentale.
La purezza dell'acqua usata
nel processo di diluizione è
ben lungi da potersi considerare totale.
Da un punto di vista tecnologico non
siamo in grado di produrre acqua che
non contenga una serie di impurezze,
che qualitativamente e quantitativamente
superano la concentrazione del preteso
principio attivo.
Poiché tali impurezze sono
spesso utilizzate anch'esse
come principi attivi, ho serie perplessità
sulla definizione chimica di cotale
sistema. Un altro aspetto da sottolineare
concerne quello che viene definita
l'interazione farmaco-recettore
ovverosia la formazione di un addotto
del farmaco con il sito appropriato
presente nel nostro sistema biologico.
Tutti gli studenti di chimica sanno
che la formazione di tale addotto
può avvenire in misura significativa
solo se:
A) l'interazione è sufficientemente
forte
B) il numero delle specie interagenti
per unità di volume (leggi:
la concentrazione) è sufficientemente
alto.
I principi elementari della termodinamica
chimica sono molto tassativi a questo
proposito. Per cui, se si ammette
questo meccanismo, è difficile
immaginare come si possano formare
un numero sufficiente di addotti diminuendo
la concentrazione di una delle specie
interagenti (i.e. il farmaco) a meno
che l'addotto non sia caratterizzato
da una straordinaria stabilità.
Questo dovrebbe farmi sostenere che
i cultori dell'omeopatia vivono
in una sorta di Sodoma e Gomorra del
mondo della scienza, come per certo
fanno coloro che cercano di manomettere
i principi fondamentali della fisica
con teorie improbabili fino a rasentare
l'umorismo.
Resta il fatto che i miei amici farmacologi,
che per inciso sono tutto meno che
cultori dell'omeopatia, e numerosi
lavori di letteratura sostengono che
la risposta recettoriale (i.e. la
reazione del sistema) nei confronti
del farmaco spesso cambia drasticamente
all'aumentare della diluizione
dello stesso. Segnalo altresì
l'esistenza di ricerche fatte
circa la sperimentazione omeopatica
da dei miei colleghi chimici inglesi,
in principio scettici, e pubblicate
sul diffusissimo Chemistry in Britain
che confutano almeno in parte le opinioni
che ho espresso e che professo nella
mia vita di docente e di ricercatore.
Per finire mi ha particolarmente impressionato
una serie di lavori fatti da un ricercatore
americano (Bonavida) che ha dimostrato
come l'efficienza di un principio
attivo, usato come distruttore di
cellule cancerose, aumentasse in misura
significativa all'aumentare
della diluizione del farmaco stesso,
anche se le concentrazioni usate erano
ben lontane da quelle pretese essere
efficaci nell'alta diluizione.
Non mi sembra una cosa da poco e ai
miei occhi apre un mondo che mi sembra
inesplorato.
Solo questo fatto dovrebbe far promuovere
una intensa ricerca nella sperimentazione
di questi effetti, ma per ora sembra
che sia destinato a rimanere solo
curiosità.
C'è qualcosa che sfugge
alle mie aspettative che mi portano
ad essere meno determinista di quanto
la mia prepotenza culturale vorrebbe.
Per non esaltanti motivi di età,
mi sono spesso trovato nella mia esperienza
di ricercatore di fronte a qualcosa
di inesplicabile. Quando tuttavia
la spiegazione di queste stranezze
è saltata fuori, invariabilmente
col senno di poi si è trattato
di qualcosa di banale e di ovvio.
Ragionando per ipotesi salta fuori
per prima cosa la considerazione che
buona parte dei farmaci omeopatici
utilizzati non sono poi così
diluiti come si vorrebbe far credere.
Essi contengono da un miliardo a diverse
decine di migliaia di miliardi di
particelle, che sono pur sempre una
quantità ragguardevole, e molto
spesso in un numero maggiore delle
molecole che controllano molti dei
meccanismi che determinano i nostri
processi biologici. Non ritengo pertanto
che ci sia nulla di strano che questi
farmaci nelle quantità somministrate
possano influenzare tali processi.
Come seconda cosa tengo a sottolineare
il fatto che per definire un sistema
da un punto di vista fisico, chimico
o biologico bisogna definirne i parametri
che lo controllano e la tecnologia
attuale non è in grado di definirli.
Il nostro organismo è controllato
da processi di autorganizzazione la
cui complessità ci è
sconosciuta e a maggiore ragione ci
è sconosciuto il loro comportamento
indotto dalle perturbazioni esterne.
Per finire, come uomo della strada,
ritengo che sia abbastanza singolare
che milioni di italiani, così
come un numero ancora più grande
di europei, continuino a curarsi da
secoli a proprie spese senza esperirne
beneficio e che ritenga altresì
ridicolo che si possa parlare di effetto
placebo quando tali terapie vengono
applicate anche a neonati e animali.
Diversi approcci terapeutici
Di certo ritengo che l'approccio
terapeutico dell'omeopata sia
più soddisfacente per certuni,
dal momento che egli è solito
ascoltare, considerare e curare un
uomo afflitto dal raffreddore e non,
come accade sovente in medicina tradizionale,
vedere un raffreddore con intorno
un uomo.
Credo altresì che in buona
parte il fenomeno sociologico debba
essere in parte imputato alle terapie
sconsiderate che purtroppo, come accade
in tutti i settori della società,
alcuni operatori della salute suggeriscono
vuoi per pigrizia che per ignoranza,
utilizzando con troppa leggerezza
i farmaci convenzionali in dosi sconvenienti.
Ma non può essere solo il ricorso
all' iperreazione nei confronti
della malattia praticato con solerzia
da troppi medici la causa dell'esplosione
degli utenti delle medicine alternative
e dell'omeopatia in particolare.
Mi sembra un punto di vista troppo
semplicistico.
Ripensando quindi alla condanna generale
da parte di persone che tutti noi
dobbiamo avere come punto di riferimento
per lo sviluppo della scienza, mi
viene in mente l'apertura mentale
con la quale verso la metà
del XIII secolo fu accolto il ritorno
di Giovanni dal Pian del Carpine,
francescano e legato pontificio in
Mongolia, che si provò a mostrare
degli aghi che nel suo viaggio aveva
visto utilizzare a scopo curativo
(leggi: pratica dell' agopuntura).
Per risposta gli fu mostrata una catasta
di legna con la quale si sarebbe potuto
approntare un ‘roghettino'
a lui destinato se si fosse riprovato
a propalare queste notizie.
Non so se quanto si narra corrisponda
a verità, ma una volta disattesa
l'iperbole della storia, non
mi sembra che l'atteggiamento
sia troppo mutato anche se dal mio
punto di vista culturale lo potrei
trovare giustificato.
Patrimonio culturale
Ricordo le parole di Gandhi, un uomo
del secolo passato che ritengo immenso
e il cui insegnamento è ben
lungi dall'essere popolare nella
nostra civiltà occidentale,
quando diceva ai suoi discepoli: “Le
opinioni che ho formulato e le conclusioni
alle quali sono giunto non sono definitive:
posso cambiarle domani.”
Le diverse culture delle popolazioni
del mondo hanno prodotto un patrimonio
culturale di cui tutti dovremmo essere
orgogliosi. Tutte quante hanno proposto
una o più di una filosofie
di scelta terapeutica. Esse si basano
su modelli che si richiamano a concezioni
diverse del malato e della patologia
che lo affligge. Il problema è
quello di tenere presente di non confondere
il modello con la realtà, perpetrando
un errore che di fatto ha caratterizzato
tutta la scienza dei secoli passati.
Una apertura mentale possibilista
appare la più appropriata,
ma non mi sembra che questa concezione
mentale venga usualmente perseguita.
La moderna filosofia della scienza
è portata a vedere il mondo
fisico come un sistema caotico, caratterizzato
da un comportamento imprevedibile,
dal momento che piccoli cambiamenti
inducono effetti così amplificati
da rendere vana qualsiasi prevedibilità.
In altre parole il divenire di qualsiasi
sistema fisico agli occhi degli scienziati
moderni è assolutamente indeterminato,
dal momento che il principio che lo
governa è quello della casualità.
Di fatto nel pensiero moderno la passata
aspettativa della ricerca di una rigida
concatenazione causa-effetto nei fenomeni
naturali viene immancabilmente a cadere
e questo purtroppo ha come implicazione
il fatto che le ambizioni dei ricercatori
a trattare deterministicamente un
sistema complesso come l'organismo
umano vanno drasticamente ridimensionate.
Tuttavia la speranza di arrivare a
una sintesi dei fenomeni osservati
e di formulare un metodo di previsione
di quelli che non lo sono ancora stati
deve rimanere, senza che si abbia
mortificazione del sentimento di sfida
che anima l' uomo nei confronti
del mondo.
Basta guardare al nostro mondo con
maggiore modestia, ripensare ai nostri
errori e acquistare la consapevolezza
dei nostri limiti senza addormentarsi
nel confortevole torpore di una presunta
omniscienza.
Nel manifesto scritto dal chimico
canadese Polany e firmato da cento
premi Nobel, fra i quali Rita Levi
Montalcini , si legge “Per sopravvivere
nel mondo che abbiamo trasformato
dobbiamo abituarci a pensare in un
modo nuovo”.
In questo sono pienamente d'accordo
con loro, mentre lo sono meno quando
assumono posizioni che a un giudizio
affrettato potrebbero sembrare culturalmente
dirigistiche.
(*)Professore di Chimica Generale
Università di Firenze
Breve nota biografica
Andrea Dei è nato nel 1943.
Laureato in Chimica nel 1967, è
professore di ruolo presso la facoltà
di Farmacia dell'università
di Firenze dal 1983 e, attualmente,
titolare del corso di ‘Chimica
Generale ed Inorganica' per
il conseguimento della laurea in Chimica
e Tecnologie Farmaceutiche.
Nell'anno accademico 1991—1992
ha svolto attività di ricerca
e di insegnamento presso l'Università
di California a San Diego (UCSD),
E' autore di alcuni libri di
testo universitari e divulgativi e
di circa cento pubblicazioni in lingua
inglese su riviste internazionali
di altissimo prestigio. Tali pubblicazioni
riguardano la termodinamica degli
equilibri chimici in soluzione acquosa,
la sintesi e la caratterizzazione
chimico fisica di composti inorganici,
la progettazione e la sintesi di materiali
con proprietà fisiche predeterminate
di potenziale applicazione nel campo
dell'elettronica molecolare.
Molte di tali pubblicazioni, stando
ai dati ISI sul numero delle citazioni
che appaiono sulla letteratura internazionale,
hanno avuto un impatto significativo
sullo sviluppo della cultura chimica
moderna del settore.
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