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:: Omeopatia:
una, bina, trina...multipla?
Luisella Zanino * e Gianfranco
Trapani **
Getta via le luci,
le definizioni
e dì quello che vedi nel buio,
che questo è o quello è.
Ma non usare nomi marci.
(Wallace Stevens)
Le discussioni e i
dissensi nel mondo omeopatico italiano
intorno a teoria e prassi della Medicina
Omeopatica ci inducono ad alcune riflessioni,
ispirati da questa poesia di Wallace
Stevens , riferita a un pensiero del
suo maestro, William Blake: occorre
privare i nomi del loro significato,
grattando via la vernice, per arrivare
all’essenza delle cose.
Di là dalle diverse classificazioni,
delle divisioni, delle puntualizzazioni
sulle differenze di pensiero riguardo
all’Omeopatia, il nostro scopo
è di tentare qui di ribaltare
completamente la questione, grattando
via la vernice, per arrivare non a
quanto ci divide ma a ciò che
unisce: il pensiero originale di Hahnemann,
il nostro metodo, le nostre fonti,
il nostro approccio al malato e alla
malattia.
A nostro parere, occorre prima di
tutto difendere questo tipo di pratica
e di approccio nella sua interezza,
in un dibattito libero da ogni condizionamento
e cortigianeria.
Una, bina, trina, multipla? Sono divisioni
accademiche, spesso miopi, talora
utilitaristiche. Nella realtà
le Scuole che hanno insegnato e diffuso
la terapeutica omeopatica in Italia
e nel mondo da sempre insegnano la
conoscenza e l’uso del farmaco
omeopatico con vari livelli di approfondimento
e con diverse metodiche.
Uniamo, dunque, invece di dividere.
Ciò che tutti unisce è
in primo luogo la peculiarità
del medicinale utilizzato, in dosi
infinitesimali, diluite e dinamizzate,
associato a un approccio al malato
e alla malattia assolutamente peculiare:
la legge del simile. L’Omeopatia
porta intrinsecamente con sé
la ricchezza umanistica della medicina,
quell’Arte Medica che passa
attraverso la presa di coscienza del
corpo non solo in sé , quale
psicosoma, ma come parte del mondo.
Una parte del tutto.
Siamo tutt’uno con l’ambiente
circostante, quando non con il mistero
(forza vitale), in una relazione indissolubile
con le energie sottili e misteriose
che la relazione col mondo e fra individui
evoca, compresa la relazione fra medico
e paziente che passa attraverso l’ascolto
del paziente e del suo corpo parlante,
con lo scopo di trovare un significato
e là dove la malattia ha prodotto
innanzitutto la scomparsa di senso.
Come dimostra un’attenta analisi
della storia dell’Omeopatia
da Hahnemann a oggi, gli strumenti
dell’Omeopatia nella cura al
malato possono essere utilizzati in
modo diverso in base alle doti empatiche
di ciascun medico, alla cultura, alla
sensibilità, alla formazione,
al tempo e all’attenzione dedicati
alla visita, ma passano sempre attraverso
quella che ci appare essere la vera
Arte della Medicina: il prendersi
cura del paziente, come individuo
e come parte del tutto.
Ciò detto, esistono sicuramente
diversi livelli di competenza e specializzazione
in Omeopatia ma una è la professione.
Fioriscono a tal proposito discussioni
infinite, talora molto dotte, talaltra
politiche e strumentali, per definire
i vari livelli di competenza prescrittiva
, quando unica, plurima o complessa.
Una sorta di guerriglia permanente
fra Omeopati.
Il complessismo, ad esempio, insieme
alle definizioni di omeoterapie, al
considerare o meno il complesso omeopatico
come “Omeopatia” ecc.
, è uno dei terreni di guerriglia
intorno al quale ci s’ingarbuglia
in infinite discussioni.
Cercando di districare questa matassa,
possiamo in primis affermare che il
complesso è certamente un medicinale
omeopatico, definito tale anche a
livello legislativo. Il complesso
omeopatico, sia in preparazione magistrale
sia come “specialità”
industriale, nasce sulla base di postulati
teorici che prevedono l’efficacia
di un prodotto composto da un insieme
di diversi medicinali omeopatici.
Quindi il complesso è tributario
della medicina omeopatica. Si sa però
che la somma delle parti può
essere diversa dalle parti prese singolarmente.
Considerati i possibili effetti sinergici
il risultato “nel complesso”
può diventare altra cosa rispetto
alla somma delle parti, mai sperimentata.
Volendo essere rigorosi e avere informazioni
complete, il complesso andrebbe sperimentato
omeopaticamente sull’uomo sano
o quantomeno sottoposto a verifiche
di efficacia sul malato. Volendo essere
rigorosi - o forse eccessivamente
critici? - la ricerca andrebbe estesa
anche ai medicinali omeopatici unici,
verificando la nostra materia medica
con nuovi proving sia su vasti numeri
di sperimentatori sia su dati ricavati
dagli effetti dei medicinali sui pazienti,
raccolti con precisa e rigida metodologia.
L’uso degli omeopatici complessi,
d’altronde, così come
quello degli unitari, è iniziato
con Hanhemann ancora vivente e molte
di queste miscele, tanto quanto gli
unitari, hanno superato la prova dell’uso
tradizionale. Non solo, su molti di
questi prodotti esistono evidenze
scientifiche di efficacia.
Come sempre per noi omeopati, come
per tutta la medicina, l’unica
via resta la continua ricerca scientifica,
la continua ricerca di prove. Nel
nostro caso la ricerca è basata
sulla sperimentazione sull’uomo
sano per poter applicare la similitudine:
l’effetto sul sano da ricondurre
allo stesso corollario di sintomi
nel malato o, in alternativa, quella
dell’efficacia nell’aver
guarito, sperimentalmente con quel
medicinale, questo o quel sintomo.
Attualmente il complesso omeopatico,
pur essendo completamente tributario
dell’omeopatia, sulla scorta
di un postulato per lo più
teorico di efficacia, viene prescritto
su un razionale “allopatico”,
partendo dalla diagnosi nosologica.
Ebbene, non pensiamo affatto che questo
sia un male, al contrario: la specialità
omeopatica che sia automedicazione,
consiglio del farmacista, consiglio
del medico non esperto, consiglio
telefonico e anche non telefonico
del medico esperto, quasi sempre è
uno strumento di cura efficace e scevra
da effetti indesiderati. Occorre,
da omeopati, favorire la diffusione
di quest’auto o eteromedicazione,
utile alla salute pubblica, alla diffusione
“popolare” dell’omeopatia
e, alla fine, anche del messaggio
ben più profondo che l’Omeopatia
porta con sé: quello della
vis sanitatrix naturae. Pur auspicando
questo tipo di diffusione popolare
dell’uso dei complessi omeopatici,
con il messaggio che ciò porta
con sé, concordiamo sul fatto
che un medico che prescrive complessi
omeopatici non possa essere definito
tout court omeopata: non ha mai studiato
il medicinale omeopatico, né
il procedimento con il quale va prescritto,
non importa se uno o più, e
non conosce le basi epistemologiche
dell’omeopatia ma resta un medico
e come tale può scegliere i
farmaci che ritiene adeguati. Lo stesso
medico sa, o dovrebbe sapere, che
non ha le competenze per definirsi
omeopata ma per prescrivere i complessi
omeopatici non gli serve certo una
definizione di professionalità
in omeopatia. Da pragmatici riteniamo
che il medico non esperto che scelga
di usare un complesso omeopatico piuttosto
che un antiinfiammatorio, più
o meno inconsapevolmente aiuti due
volte il suo paziente: sia riducendo
il rischio di effetti collaterali,
sia stimolando la sua forza di guarigione.
Per farlo gli basta prendere un prontuario
e leggere le indicazioni, non gli
servono anni di formazione per produrre
un atto medico degno di quel nome.
Ciò detto ci pare auspicabile
che la specialità omeopatica,
quando prescritta da medici, sia prescritta
sapendo leggere l’etichetta
e sapendo riconoscere, tra le tante
miscele possibili, quelle più
efficaci per quel caso specifico.
Una formazione/informazione in quel
senso andrebbe in qualche modo promossa.
Per tornare invece a chi l’etichetta
sa leggere, la nostra scuola da venticinque
anni ha formato medici con specifiche
competenze in Omeopatia, liberi da
condizionamenti e pronti a scegliere
la propria strada. Costoro hanno studiato
a lungo, sanno leggere perfettamente
l’etichetta e certamente non
devono essere considerati incompetenti
se prescrivono complessi omeopatici.
Nel corso degli anni hanno studiato,
approfondito, modificato la propria
mentalità e, di concerto, anche
quella del paziente: prescrivendo
un complesso sanno quello che fanno.
E’ certamente vero che il medico
omeopata per trovare il medicinale
unico deve approfondire la visita
ma riteniamo che questo valga anche
per la ricerca di più rimedi
omeopatici specifici, per la prescrizione
di un magistrale o per la scelta di
una “specialità”omeopatica.
Da venticinque anni nella nostra scuola
continuiamo a insegnare l’Omeopatia
indirizzando il medico all’uso
sia del farmaco omeopatico specifico,
sia esso uno o più di uno,
che all’uso concomitante dei
complessi omeopatici, delle bioterapie
(oligoterapia, organoterapia, isoterapia,
fitogemmoterapia) senza dimenticare
il ricorso ai farmaci convenzionali,
dove indicati. Possiamo con orgoglio
definirci, per la medicina integrata,
degli antesignani: chi combatte ancora
prima della comparsa dello stendardo.
“Unicista per vocazione, pluralista
per necessità, complessista
(e convenzionale) per disperazione.”
Questa frase scherzosa che spesso
evochiamo durante le nostre lezioni
nasconde una verità: il fine
ultimo è la salute del paziente.
Per la conoscenza dell’omeopatia
tutta, dalla prescrizione di uno o
più farmaci omeopatici specifici
a quella dei complessi, intravediamo
la necessità di scuole di formazione
che prevedano lo studio oltre che
dei singoli rimedi della materia medica
classica anche lo studio della logica
del complesso.
L’Omeopatia è atto medico,
qualsiasi sia la scelta del medicinale:
l’Omeopatia è una e il
professionista formato può
liberamente scegliere fra uno, due,
molti rimedi purché il paziente
possa essere garantito dall’avere
di fronte una persona corretta e competente.
Questa è sempre stata la logica
che ha guidato i nostri docenti: formare
medici in grado di usare i farmaci
omeopatici, qualunque essi siano,
non importa il numero, con responsabilità
e nell’interesse del paziente.
Compito delle scuole di formazione
è fornire una preparazione
adeguata al medico, possibilmente
certificata, che permetta al cittadino/utente
un consenso informato chiaro riguardo
al tipo di professionalità
del medico cui si rivolge.
Non è il momento di polemiche
sterili o cortigiane, è il
momento di grattare via la vernice,
come incita William Blake, arrivando
all’essenza delle nostre origini
e lavorando insieme, senza egemonie,
tantomeno arrogandosi il ruolo di
detentori di verità.
*Direttore Scientifico SMB Italia
**Direttore didattico SMB Italia
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