Sull’evoluzione del concetto di farmaco tra l’antichità e l’età moderna e contemporanea

La concezione più compiuta del farmaco, inteso quale “sostanza che per le sue proprietà chimiche, chimico- fisiche e fisiche è dotata di virtù terapeutiche” (Zingarelli 1984, p. 704) è collegata alla Medicina, quale “arte di conoscere le malattie e di guarirle”, coniugata alla biologia, “scienza della vita e delle leggi che la controllano”, la quale, è nata quando la speculazione filosofica dalla materia cosmica (Talete, Anassimandro, Anassimene, Eraclito, Pitagora, Democrito) si è concentra anche sugli esseri viventi (a partire da Alcmeone di Crotone, proseguendo in Sicilia con Empedocle), e soprattutto sull’uomo, di cui interessa indagare anche la malattia, che è il prodotto del turbamento delle leggi nel microcosmo, mentre esso nel cosmo dà luogo a cataclismi. Ma la medicina non è ancora scienza, e, in mancanza della dimostrazione sperimentale, rimane di tipo razionalistico, permettendo la fusione delle enunciazioni in un complesso armonico.
Il farmaco nel periodo arcaico dipende da una medicina teurgica, le cui origini mitiche sono ricondotte a divinità: ad es., Peone, che guarisce Plutone dalla ferita provocatagli da Eracle, si
ritiene lo scopritore della pianta peonia, utilizzata anche in epoca moderna per curare l’epilessia. Ma farmaco è anche, in alternativa, la purificazione del corpo con l’astinenza e la moderazione, e la musica stessa, che crea armonia (Pitagora).
Si è comunque coscienti con Almeone che “delle cose invisibili hanno chiara conoscenza solo gli dei; a noi, in quanto uomini, è concesso solo congetturare”, determinandosi così la
differenza tra la religione (il conoscibile) e la scienza (l’inconoscibile).
In Grecia, ove giungono le conoscenze mediche delle culture d’Oriente, già prima della
Guerra di Troia, quando vive Asclepio ed i suoi figli (“Medicina eroica”) ed è documentata la medicina minoica, l’arte medica è riservata in un primo momento a pochi eletti, i sacerdoti, discendenti da Asclepio (divinizzato nel IX sec. a. C., ma il cui culto si diffonde in Grecia soprattutto dal V sec. a. C.) che, ritenendo le malattie un castigo divino, coniugano le cure con erbe e pozioni, i digiuni, i bagni ed i salassi a ritualità religiose. Da essi, che in tale terra non rappresentano una casta chiusa, la dottrina si divulga, grazie al concorso di più studiosi, dopo lo sforzo di dare una spiegazione razionale ai fenomeni. I sacerdoti sono affiancati da medici in luoghi ameni e operano in strutture che possono considerarsi i primi esempi di ospedalità, ove si approntano vere cartelle cliniche, contenenti l’indicazione della malattia e della cura; e se occorre, si interviene anche chirurgicamente, talora seguendo, così come per l’individuazione della malattia e di altri più comuni tipi di terapia, i suggerimenti di Asclepio, che si ritengono forniti al malato durante il sonno.
Il ringraziamento per le guarigioni miracolose si concretizza nei santuari (ad es. quelli di
Epidauro, Olimpia, Cos etc.) nell’offerta degli ex voto anatomici , che si riferiscono agli arti non più “malati”.
L’attributo di Asclepio, il serpente, riflette l’essenza del farmaco, la sua natura velenosa, tossica, collegata al mondo ctonio, e quella benefica, incarnata dallo stesso dio della Medicina, figlio di Apollo, dalla natura ambivalente: “da un lato mandava la peste, dall’altro veniva pregato per mandarla via”.
Il termine farmaco, in una prima fase denota “qualsiasi vegetale dotato di poteri magici”,
come quello servito a Circe per trasformare in porci i compagni di Ulisse, o per uccidere o per “fugare gli spiriti del male”; difatti significa il medicamento o il “possibile veleno”. Piante sia medicinali che velenose coltiva Eracle ad Efeso, e la scoperta delle piante medicinali è ricondotta alla frigia Cibele , dea della Natura e madre di tutti gli esseri viventi; ma anche altre dee ne sono protagoniste.
La differenza tra gli elementi ed i farmaci consiste per Empedocle di Agrigento (metà V sec. a. C.) nel fa tto che “ i primi sono per natura simili alle sostanze che costituiscono l’organismo umano e quindi possono essere assimilati, mentre i secondi sono estranei e vanno quindi sempre tenuti come veleni”. Nello stesso secolo con Ippocrate (nato a Cos circa il 460 a. C.) la medicina
diventa razionale, svincolandosi da quella sacerdotale, e si basa sull’esperienza. Il farmaco deve prescriversi solo dopo aver compreso insieme alla situazione patologica tutto l’organismo, in connessione all’età ed al sesso del paziente: esso è per lui soprattutto una dieta alimentare consona e quello evacuante (p. 230), su cui scrive il trattato Rimedi, seguendo la forza medicatrice della Natura, giovando o, almeno, non nocendo. Inoltre “ogni purgante aveva il suo umore prediletto , e solo questo attirava”, procurando con la sua azione duratura, anche l’evacuazione di altri umori. Tra i medicamenti dei suoi tempi sono compresi anche quelli di origine animale e minerale.Quanto alle donne, non sono pochi i preparati cosmetici, sull’igiene della bocca e dei denti e sulla cura delle rughe, tramite ingredienti basati su sostanza vegetali, ma anche animali (come l’urina umana o le corna di cervo), tramandati da pratiche spesso connesse alla superstizione. E nel suo Giuramento si scrive chiaramente: “ … e non darò se mi si chiedesse un farmaco mortale, né proporrò un tal consiglio”.
Inoltre, con Filistione di Locri (Scuola di Cnido ,IV sec. a. C.) “ogni malattia va curata con
il suo contrario … le malattie dovute ad ascesso di ca lore vanno curate con farmaci e cibi rinfrescanti “.
Se nei primi tempi i medici stessi preparavano i farmaci, in seguito sono i rizòtomi (da riza, radice), poi detti farmacopòli, a raccogliere le erbe, ad essiccarle ed a farne pozioni.
Ma se i contrari sono rimedi per i contrari, i simili guariscono i simili, scrive Ippocrate, che usa
come terapie purganti, emetici, bagni, fomenti, salassi, “che rimarranno pressoché immutate per venticinque secoli”; anzi aumentando nei secoli, tanto che nel Medioevo essi hanno raggiunto un numero cospicuo.
Allora si introducono nuove droghe per purgare il sangue (cassia, tamarindo, manna, senna), che si aggiungono ai farmaci consigliati dal Maestro, che sarà il riferimento di tutta la cultura
occidentale fino ai primi decenni dell’800 se nel 1840 la cattedra che è imperniata sulle sue dottrine sarà sostituita con quella di igiene presso l’Università di Napoli. Evacuanti leggeri, come il latte, il decotto di cavolo o di melone) , sono elencati insieme ai narcotici, diaforetici, diuretici ed emetici, che nella somministrazione devono essere usati con prudenza, tendendo conto dell’età, del sesso e dello stato del malato, delle ore diurne o notturne.
Si usano inoltre medicamenti di origine animale, da cui si escludono quelli disgustosi (ad es. l’urina di toro, i bruchi), riducendosi a sei (bile, cantaridi, castoro, cera, grassi, miele), e minerali (ad es. lo zolfo già nell’Odissea è considerato disinfettante e deodorante per gli ambienti). Comunque, nel Corpus Hippocraticum, la malattia debole ed il paziente forte possono far utilizzare un farmaco forte e viceversa, ma occorre tener conto anche della dose.
Il farmaco nelle ultime opere (De flatibus), non è più soltanto l’espurgazione degli umori morbosi, ma “l’aggiunta di ciò che manca e la rimozione di ciò che è in eccesso, e gli stessi alimenti diventano essi stessi farmaci purgativi in particolari circostanze.

Etimologia del farmaco nell’antica Roma

Sin dai tempi più antichi, tutti i medici, anche i più illustri, preparavano ed andavano personalmente a cercare nei campi le erbe medicamentose. In seguito, quando le erbe impiegate si moltiplicarono, ed i conseguenti preparati medicamentosi divennero più complessi, si aprirono nell’antica Roma negozi specializzati in erboristeria, denominati HERABARI ( dedicati alla vendita di erbe medicinali di uso corrente), e RHIZOMATOI (dedicati alla vendita di radici di piante medicinali).
Successivamente questi negozi passarono dalla fase di sola vendita delle erbe, alla preparazione dei medicamenti ed incominciarono ad aprirsi dei veri e propri laboratori con tutte le apparecchiature necessarie per la preparazione di qualsiasi forma di medicamenti, denominate TABERNAE.

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La fonte principale di materie prime per la preparazione di medicamenti proveniva dal regno vegetale, e quindi le piante impiegate con proprietà curative presero il nome di Plantae Officinalis, da "officina", ovvero luogo in cui venivano lavorate.
Tale era la diffusione della cura della persona ai tempi degli antichi romani che sorsero delle vere e proprie TABERNAE specializzate. Ricordiamo: UNGUENTARIA TABERNAE, specializzate nella preparazione di unguenti, ed i farmacisti preparatori venivano chiamati UNGUENTARII.
Vi erano inoltre, gli AROMATARII, mercanti di profumi e preparatori di oli medicamentosi ed i

PIGMENTARII, commercianti e preparatori di colori e profumi.

Tra i termini utilizzati nella letteratura latina per denominare i farmacisti

PHARMACOPOLA, le farmacie PHARMACOPOLIUM e i medicamenti PHARMACEUTICI.

Un altro termine utilizzato nell’antica Roma era SEPLASARII per indicare il farmacista, SEPLASARIUM per la farmacia e SEPLASIUM per indicare il rimedio. Tale nome prendeva origine da una delle principali piazze di Capua, piazza Seplasia, dove avveniva il mercato di droghe e spezie.
Tra i medici illustri che si occuparono della farmacia, un posto importante va riservato a
CLAUDIO GALENO (nato nel 120 d.C. a Pergamo, nell’Asia Minore, morì a Roma nel 201). Fu medico di Marco Aurelio e dei suoi successori Commodo e Settimio Severo. Egli deve la sua fama ai molteplici lavori nel campo della fisiologia e delle osservazioni cliniche; si può definire a buon diritto il padre della farmacia, avendo elaborato e catalogato numerose formulazioni col relativo modus operandi, tanto da annoverarsi tra i primi formulari che darà origine alle moderne farmacopee.
Dal suo nome deriva l’aggettivo "galenico" che ritroviamo assimilato a preparati galenici,

tecnica galenica o farmacia galenica, quest’ultima definizione ancora oggi utilizzata per indicare

la scienza, l’arte di preparare, conservare e presentare i medicamenti.

Bibliografia essenziale

Conci 1934 - Conci, Pagine di storia della farmacia, Veneta Editrice, Conselve (PD), ed
Edizioni Vittoria - Milano 1934.
G. Penso, La medicina medioevale, Ciba-Geigy Edizioni - 1991.
G. Penso, La medicina romana. L’arte di Esculapio nell’antica Roma, Ciba-Geigy Edizioni
- 1985.
G. Penso, Le piante medicinali nell’arte e nella storia, Ciba-Geigy Edizioni - 1986. L. Sterpellone, La medicina greca, Novartis Edizioni 1998.
Troncarelli 1983 - F. Troncarelli, Salerno e la medicina, Centro Studi e Documentazione della Scuola Medica Salernitana, Salerno 1983.

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