LA RICERCA CLINICA IN OMEOPATIA

LA PECULIARITA’ DELLA CONSULTAZIONE OMEOPATICA.

L’incontro tra il Paziente ed il Medico Omeopata è un CONFRONTO ATTIVO, dove la dialettica continua tra i sintomi soggettivi ed oggettivi espressi dal malato, la Reazione Ind ividuale del Malato (R.I.M.) alla malattia, il suo terreno ereditario, portano il Medico a fare una diagnosi clinica ed una prescrizione terapeutica.
L’obiettivo che si propone la Medicina Omeopatica è di individuare una serie di sintomi fisici e psichici presentati da un malato per confrontarli con gli stessi sintomi provocati da una sostanza sperimentata ed ottenere somministrando quest’ultima la guarigione del paziente.
Le fasi della consultazione medica vengono divise arbitrariamente e didatticame nte in:

Ascolto, Interrogatorio, Esame clinico,

Coordinazione dei dati raccolti,

Interpretazione, prescrizione.

loro.
Nella pratica quotidiana queste non sono divise, ma si intersecano continuamente tra di
Mentre il Medico ascolta il paziente questo esprime i propri sintomi come sensazioni, sia vere sia come interpretazione dell’esperienza vissuta. Il Medico, deve distinguere i sintomi e le sensazioni vere (che spesso sono singolari ed originali) perché possono consentire una migliore individua lizzazione del rimedio. L’interrogatorio, sarà svolto in modo da guidare il paziente ad esprimere dei sintomi. Questo è un momento molto delicato e difficile, infatti alcuni Autori parlano di ARTE DI INTERROGARE. Le domande devono essere poste in modo tale da NON suggerire la risposta.
Si chiederà della famiglia, degli antecedenti e dei collaterali, le malattie ereditarie e quelle che possono svolgere un’azione di blocco sull’attività del rimedio scelto, sia nella storia della famiglia
che in quella del paziente stesso.
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Si cercherà l’eziologia della malattia, il modo e la sequenza con la quale sono comparsi i sintomi, la loro evoluzione nel tempo ed i sintomi attuali. Ancora una volta si cercheranno sintomi caratteristici, strani, rari, per consentire una più stretta individualizzazione del rimedio.
Tutti questi sintomi raccolti saranno ulteriormente specificati in base alle loro modalità. Si
osserveranno le modalità orarie, alimentari, climatiche, ambientali, relazionali, e così via.
L’elaborazione di tutti questi sintomi, consente di arrivare ad avere una tabella scritta con la rappresentazione grafica della storia clinica del nostro paziente. A queste informazioni ora saranno aggiunti tutti i dati che riguardano il suo aspetto fisico, la morfologia, il comportamento.
Infine l’esame clinico con il suo aspetto medico classico, gli esami di laboratorio e le
indagini strumentali (quando servono) completeranno il lavoro dell’Omeopata.
Tutti questi dati raccolti saranno raccolti, gerarchizzati, repertorizzati per ottenere sia una diagnosi clinica che una diagnosi terapeutica, esisterà quindi una similitudine il più possibile fine e vicina tra la malattia che noi vogliamo curare e la Materia Medica del rimedio adatto al nostro caso. Anche se, durante la nostra visita, non riusciamo a definire una diagnosi, e non esiste un quadro nosologico preciso, se si riesce a definire un rimedio simillimum valido, il risultato terapeutico sarà apprezzabile. Il simillimum, infatti, rappresenta il centro della sofferenza personale del paziente e la sua assunzione porta alla modificazione della percezione del sé, del suo rapporto con la malattia, con l’ambiente e quindi della sua reattività. Il rimedio che nel suo proving ha diversi livelli di azione, di organo, di apparato, di sistema e mentale, trova lo stesso insieme nell’organismo malato e interagendo ne favorisce il riequilibrio svolgendo un cammino di crescita mentale e fisica che coinvolge sia il Medico che il Paziente. Nella stessa malattia i sintomi si evolvono nel tempo, e quando il rimedio è efficace si presenta un altro quadro clinico che teoricamente ( almeno secondo i pluralisti) dovrebbe richiedere un altro rimedio.

Per questo l’omeopatia presenta notevoli problemi di standardizzazione e di riproducibilità a livello di ricerca clinica.

La semiologia omeopatica consente, per le sue peculiari caratteristiche, di definire degli ambiti entro i quali la raccolta di questi sintomi può avvenire ed essere utilizzata a scopo terapeutico e di ricerca clinica. L’estrema individualizzazione dei sintomi raccolti può diventare un punto di forza, piuttosto che di debolezza del cammino nella ricerca de rimedio omeopatico. Le definizione della Reazione Individuale del Malato alla malattia cioè la modificazione del suo modo di sentire e
di agire nei confronti dell’ambiente circostante è uno dei punti chiave di questa tecnica di studio.
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Pertanto organizzando in modo ordinato ed uniforme i vari sintomi che possono essere raccolti durante una consultazione omeopatica si può arrivare ad un buon livello di riproducibilità nei lavori di ricerca clinica. Questo lavoro, attualmente viene notevolmente facilitato dall’uso di Sistemi Informatici Esperti, che raccogliendo tutte le informazioni possibili, trovano le similitudini che il Medico, a volte, non riesce ad individuare.
La conoscenza dell’etiologia dei sintomi, intesi sia secondo la semiologia classica che quella omeopatica, la predisposizione alla malattia legata al terreno, al carattere, al temperamento del malato, i vari fattori amb ientali e le modalità con la quale si manifestano definiscono in modo più specifico i dati che vogliamo utilizzare. Ulteriori dettagli sono raccolti anche dalla frequenza e dal ritmo con il quale si manifestano, dal loro aggravamento o miglioramento, dai vari fattori psichici, eccitazioni sensoriali, posizioni, regimi alimentari, variazioni atmosferiche e così via. Ulteriori informazioni possono venire dai sintomi concomitanti alla malattia, dai segni morfologici, dalle tendenze diatesiche e dalla predisposizione alle malattie, dai sintomi generali oggettivi e dalle variazioni individuali delle funzioni fisiologiche come la sudorazione, il sonno, le evacuazioni, …
Un corretto lavoro di analisi, di sintesi, di gerarchizzazione e di repertorizzazione dei sintomi
consente di raggiungere un buon livello di specificità e di accuratezza nella prescrizione del rimedio quando questi saranno molto simili alla patogenesi del rimedio indicato.
Per questi motivi un buon lavoro di ricerca clinica deve partire da una ade guata gerarchizzazione repertorizzazione dei sintomi, associati questi ad una corretta definizione di terreno.
La nozione di terreno comprende sia quella di modalità reattiva che quella di tipo sensibile.
La modalità reattiva indica la diatesi d’appartenenza. Queste sono definite in quattro grandi diatesi, che non sono mai pure ma spesso intersecate tra loro. Queste diatesi sono la Psorica, la Tubercolinica, la Sicotica e la Luetica. Queste quattro diatesi insieme ricoprono, se correttamente interpretate, la quasi totalità della patologia cronica. Ora, le Diatesi non sono più legate all’evoluzione ed alla definizione della malattia di base alla quale Hahnemann faceva riferimento, ma al modo reazionale del paziente che ricorda nella sua evoluzione la fisiopatologia e l’anatomia patologica della suddetta patologia. Il tipo sensibile è rappresentato da soggetti che rispondono in modo regolare e costante alla somministrazione del rimedio omeopatico. Questa definizione è stata
fatta sia attraverso l’analisi delle sperimentazioni patogenetiche, sia attraverso le osservazioni
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terapeutiche. Questi soggetti che presentano una reazione importante e riproducibile al rimedio omeopatico, presentano anche delle caratteristiche morfologiche, dei segni comportamentali e psichici, delle tendenze patologiche che sono sovrapponibili e ripetibili.
Pertanto, pur nella difficoltà di aver dati sovrapponibili in Omeopatia, il tipo sensibile, la
concezione di modalità reattiva e di terreno ci consentono di avere alcuni dati costanti e dimostrabili che possono essere impiegati nella ricerca clinica.
La valutazione dei sintomi che viene fatta prima che questi vengano utilizzati per la definizione di Simillimum, passa attraverso una corretta gerarchizzazione e repertorizzazione dei sintomi. I sintomi sono raccolti ed ordinati secondo il loro valore gerarchico. Si avrà cosi un elenco o tabella dei sintomi che dovrà essere confrontato con quelli presentati dalla tabella descritta nella patogenesi del rimedio prescelto. Quando queste due tavole saranno sovrapponibili nei sintomi descritti allora potremo parlare di Simillimum. I sintomi della malattia devono essere uguali a quelli descritti dalla patogenesi del rimedio. In Medicina per sintomo si intende un’alterazione della funzione organica e come questa viene percepita dal paziente. La Reazione Individuale del Malato (R.I.M.) consente di definire un sintomo individuale che ha delle caratteristiche sia somatiche sia mentali. I sintomi comuni rappresentano la caratteristica tipica della malattia, i sintomi locali sono espressione dell’alterazione dell’organo, sia funzionale che lesionale, mentre i sintomi generali sono delle interpretazioni del paziente di varie situazioni biologiche che deve affrontare. I sintomi concomitanti sono quelli che associano al disturbo di base altri sintomi meno importanti, mentre quelli rari, caratteristici o particolari indicano le sensazioni e sono specifici della reattività del soggetto. Questi ultimi però saranno definiti sintomi solo se potranno essere riscontrati con chiarezza anche nella patogenesi del rimedio interessato. Infine, ma non certo per ultimi verranno presi in considerazione i sintomi mentali che coinvolgono la psiche ed il comportamento del paziente e quelli etiologici, vale a dire la causalità della malattia.
Per la prescrizione di un rimedio, e quindi anche per definire una serie di sintomi ai quali fare riferimento se s’intende compiere una sperimentazione sia patogenetica sia clinica, occorre fare riferimento alla Sindrome minima di valore massimo.
Questa definizione data da HERING intende l’utilizzazione di almeno tre sintomi di grande
importanza (valore) che devono essere peculiari, caratteristici, specifici.
Lo schema utile alla gerarchizzazione e repertorizzazione dei sintomi esula dalla trattazione specifica di questo lavoro. Delle indicazioni più approfondite si troveranno sui testi di A. Lodispoto, “il kentismo e l’analisi repertoriale” e R. Comito “Introduzione allo studio dell’omeopatia”. E’ in
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ogni caso utile, sapere come devono essere ordinati i sintomi nelle malattie acute e croniche, sia per la ricerca del Simillimum, che per organizzare in modo corretto la ricerca dei pochi sintomi chiave.
Questi, saranno utilizzati per individuare tra i vari rimedi sui quali si vuole effettuare la ricerca clinica quello più idoneo al nostro caso.
In caso di MALATTIE CRONICHE:

1) Segni etiologici

2) Sintomi comportamentali generali o psichici

3) Sintomi generali

4) Modalità generali

5) Sintomi locali

In caso di MALATTIE ACUTE

1) Segni etiologici

2) Segni caratteristici d’organotropismo elettivo

3) Sintomi generali

4) Modalità generali o locali

5) Segni psichici se chiari netti associati alle malattie descritte

La repertorizzazione dei sintomi sarà fatta nei casi di nostro interesse, non per la patogenesi del rimedio, perché questa è già scritta, ma nella ricerca del rimedio Simillimum, che deve essere il più simile come gruppo di sintomi a quelli che abbiano stabilito di studiare.

LA RICERCA CLINICA

Nel 1995 il prof. J. Benveniste, lanciava, in una sua intervista rilascia al mensile Medicina Naturale, un monito a non trascurare la ricerca, sia essa fondamentale che clinica, perché l’unica possibilità di sopravvivenza nel tempo per una qualunque disciplina medica, è quella di confrontarsi con la comunità scientifica usando gli stessi termini di paragone. Una teoria ha diritto di esistere solo se fornisce prove della propria autenticità.
Nel Giugno 1998 in una comunicazione tenuta al 3° Congresso internazionale di Omeopatia di Lisbona in Portogallo il Dott. P. Fisher della Facoltà di Omeopatia dell’Università di Londra ha
dimostrato come mentre nel 1980 - 1990 erano stati pubblicati 109 studi clinici controllati, negli
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ultimi cinque anni erano più che raddoppiati. Nel 1997 gli studi clinici pubblicati sono stati più di
180.
Sono stati svolti studi clinici su allergie, asma, problemi dermatologici, gastroenterologia, ustioni, dolori muscolo-scheletrici, problemi neurologici, problemi ostetrico- ginecologici, reumatologici e su patologie influenzali.
Le strategie utilizzate sono state numerose, dall’Omeopatia classica, all’omeopatia dei
complessi, al trattamento isopatico. Nelle metaanalisi successive i risultati raggiunti sono positivi, anche se permangono vaste aree di incertezza con risultati fortemente negativi nella cefalea e nel dolore cronico. I problemi da affrontare nella ricerca clinica sono numerosi, di questi, quello più importante, è quale valore debba essere attribuito ai risultati ottenuti nelle situazioni artificiali create durante i trials clinici e la reale efficacia del rimedio calato invece nella pratica quotidiana. Molte volte i risultati negativi non sono dovuti alla scarsa efficacia del farmaco utilizzato, ma all inevitabili forzature che vengono fatte quando si usa un rimedio inserito in un protocollo di ricerca.

LE PARTICOLARITA’ DELLA RICERCA CLINICA IN OMEOPATIA

I modelli sperimentali che dovrebbero convalidare teoricamente l’attività del rimedio omeopatico, devono tenere conto dei tre principi di base che caratterizzano questa modalità terapeutica.
L’Omeopatia è una disciplina Olistica che osserva l’uomo e la sua malattia non in modo
parcellare, ma nella sua globalità sia fisica sia psichica e nelle interazioni che intercorrono tra loro (Principio della Globalità). La guarigione di un individuo viene ottenuta somministrando un rimedio, che ha nella sua patogenesi ( è in grado di provocare in un soggetto sano) gli stessi sintomi che sono osservati nel malato (Principio di Similitudine). Questo rimedio che viene somministrato deve essere fortemente diluito e dinamizzato (Principio dell’Infinitesimale o delle Alte Diluizioni).
A questo proposito, vogliamo ricordare un concetto caro a J. Benveniste ciè che gli omeopati

devono abbandonare il termine metafisico e matematico di Infinitesimale, in quanto nessuno può definire l’Infinito. Le diluizioni Infinitesimali non permettono di fare ricerca perché non possono essere ottenute in laboratorio, mentre le alte diluizioni sono quelle correntemente usate. Pertanto, a parte qualche refuso tipografico si parlerà solo di Alte Diluizioni e non di Diluizioni Infinitesimali.

Il Principio della Globalità è utilizzato quando nella scelta di un rimedio per una determinata
malattia, noi non cerchiamo solo i sintomi specifici della malattia intesa come organo leso, ma ci rivolgiamo all’individuo nella sua globalità. Oltre all’etiologia teniamo conto delle modalità con le
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quali i sintomi si manifestano, dei segni regionali specifici, del comportamento psichico, delle modificazioni del modo di sentire e di agire del paziente.
Il Principio delle Alte Diluizioni è utilizzato perché il farmaco da noi impiegato consiste in una sostanza che per un certo numero di volte viene diluita e dinamizzata (Alte Diluizioni). Si tratta quindi di definire un modello capace di mettere in evidenza questa attività evitando la trasposizione, in questa situazione di ricerca, di una reazione molecolare classica, con lo stolido tentativo di volere individuare dei recettori per delle molecole, che quando la ricerca viene fatta con diluizioni sopra il numero di Avogadro, non esistono più. Il criterio del Principio della globalità deve essere rispettato perché, sia nella ricerca fondamentale che in quella clinica, noi dobbiamo osservare la reazione della totalità dell’organismo studiato, sia che osserviamo cellule isolate, che organi, che animali, uomini o piante.
Il criterio del Principio di Similitudine deve essere rispettato perché i sintomi della patologia del malato devono corrispondere ai sintomi sviluppati in un soggetto sano che ha ricevuto lo stesso rimedio.
Spesso, si riscontra una certa confusione fra il Principio della Similitudine e quello
dell’Identità ovvero l’inversione dell’effetto secondo la concentrazione. In pratica invece della Similitudine ci troviamo di fronte a dei meccanismi che sono scatenati in funzione della concentrazione con dei risultati opposti (es. il Cis-platino che a dosi poderali ha un’azione antimitotica, a basse diluizioni ha un’azione stimolante l’immunità cellulare).
In definitiva è proposta la possibilità che la lettura del messaggio trasportato dalle alte
diluizioni sia di natura elettromagnetica. L’informazione da sola non ha nessun significato, essa ha un senso nella sua esistenza solo se è letta ed interpretata da un organismo ricevente. Sono distinte due possibilità di informazioni,
1) una che riguarda sostanze endogene
2) una che riguarda sostanze esogene.
Nel primo caso l’organismo riceve informazioni da sostanze endogene altamente diluite (ormoni, mediatori dell’infiammazione), e riesce a leggerle automaticamente grazie alle informazioni presenti nel genoma. In pratica, esiste nell’organismo vivente una griglia di lettura in grado di interpretare queste informazioni veicolate da un sistema ondulatorio di natura elettromagnetica. Per le molecole di natura esogena (minerale, animale, vegetale) le informazioni non sono naturalmente identificate dall’organismo, questo può avvenire solo se le cellule dell’organismo siano state sottoposte ad una sorta di apprendimento cioè abbiano
ricevuto informazioni sulla presenza della sostanza esogena e sulle modalità da tenere in caso
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di presenza della sostanza stessa sia in dosi poderali che in alte diluizioni. Quando invece si stabilisce una corrispondenza precisa, tra i sintomi della malattia e la patogenesi del rimedio omeopatico, ( quando la malattia viene vista come un disturbo di una rete elettromagnetica basata su interazioni tra elementi - molecole, centri nervosi, organi, ecc.- che oscillano e frequenze coerenti e specifiche e quindi capaci di risonanza) la correzione di questo squilibrio avviene quando il rimedio è in grado di apportare all’organismo una reinformazione sulla malattia, un riequilibrio attraverso una sintonizzazione, e pertanto l’organismo stesso è in grado di modificare questi stessi sintomi con una sorta di meccanismo di tipo catartico o meglio come una frequenza- guida esterna che ristabilisce l’equilibrio.
L’importanza, nella ricerca clinica, di avere numerose informazioni e dettagli sulla malattia da studiare e che questi siano il più possibile vicini al rimedio che vogliamo utilizzare è stata ben definite da un’interpretazione di Garner ed Hock nel 1991 e da Shepperd nel 1994, correlando le nostre interpretazioni con la teoria del caos. Si ritiene che le diluizioni e dinamizzazioni che vengono progressivamente fatte per preparare il rimedio omeopatico introducono un elemento in più nel pattern delle informazioni che abbiamo, proprio come si osserva nei frattali con successive iterazioni. Le basse diluizioni ( poche iterazioni) hanno e danno poche informazioni, le alte diluizioni (molte iterazioni) hanno e danno una migliore informazione del particolare. In pratica nelle basse diluizioni, quando le informazioni sono poche e riguardano l’aspetto fisico più superficiale della malattia, l’ effetto terapeutico è limitato. Nelle alte diluizioni, quando le diluizioni- iterazioni sono molte, aumenta il numero delle informazioni e l’immagine della malattia è più precisa. In questo caso, è coinvolto sia l’aspetto fisico sia quello psichico, quindi l’effetto terapeutico è massimo in quanto c’è una perfetta corrispondenza tra i sintomi del rimedio e quelli della malattia.
In conclusione è bene puntualizzare come sia necessario utilizzare per ogni ricerca clinica, un approccio che ci conduce a rispettare con la massima scrupolosità il Principio della Similitudine, quello della Globalità dell’Individuo e quello delle Alte Diluizioni.

LA METODOLOGIA NEGLI STUDI CLINICI

Normalmente parliamo di ricerca clinica quando vengono riunite informazioni non controllate in studi controllati. Gli studi clinici che possono essere effettuati in omeopatia possono essere:
- degli studi aperti
- degli studi comparativi che valutano un trattamento omeopatico standardizzato
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- degli studi comparativi che valutano l’azione della terapia omeopatica individualizzata
Questi studi clinici devono essere fatti rispettando i principi della Similitudine, delle alte diluizioni e della globalità dell’individuo. In sostanza questi tre principi racchiudono in loro le sperimentazioni patogenetiche e le osservazioni cliniche svolte quotidianamente dai medici.
I sintomi di ordine funzionale o lesionale osservati durante l’esecuzione delle patogenesi che guariscono in un gran numero di soggetti quando vengono utilizzati i rimedi. Questi sintomi che sono poco caratteristici della reazione individuale del malato, sono caratteristici dell’azione farmacodinamica del rimedio
I sintomi caratteristici della reattività individuale del malato scarsamente riproducibili con le
patogenesi, elementi chiave di una prescrizione specifica in relazione alla sindrome studiata, rendono difficile la costituzione di gruppi omogenei.
Quindi gli studi comparativi possono essere fatti sia sulle modificazioni di una sindrome clinica dovuta ad un trattamento omeopatico standard che comprende uno o più rimedi, sia su sindromi cliniche che mettono in gioco la reattività del malato utilizzando soltanto i pazienti che hanno caratteristiche ben definite cioè i cosiddetti “tipi sensibili”. Questi sono descritti nelle Materie Mediche per certe caratteristiche ben precise morfologiche, comportamentali e reazionali. Utilizzando il (tipo sensibile), sarà possibile intraprendere vasti studi epidemiologici sull’evoluzione di certe patologie. In questo modo potrà essere studiato il concetto di terreno e di predisposizione alla malattia. Naturalmente i rimedi scelti saranno in numero limitato e scelti secondo le regole della terapia omeopatica. È importante osservare come gli studi aperti possono essere utili per definire in modo corretto la diluizione di un rimedio. Infatti, a volte una terapia corretta può non funzionare se la diluizione o il metodo di somministrazione sono errati. Gli studi in aperto consentono di mettere a punto queste tecniche terapeutiche, per poi utilizzarle in studi comparativi controllati molto più vasti.

LA DIMOSTRAZIONE DELL’ATTIVITA’ CLINICA

Questa viene ottenuta fondamentalmente in due modi
1) con degli studi sperimentali sui soggetti sani
2) con degli studi sperimentali sui soggetti malati.
Nel primo caso sono studi che sono fatti per le patogenesi dei rimedi. Nel secondo caso parliamo di studi comparativi randomizzati per valutare l’attività terapeutica dei rimedi omeopatii contro placebo.
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GLI ESPERIMENTI PATOGENETICI

Gli esperimenti patogenetici omeopatici (provings) sono costruiti valutando l’attività dei rimedi omeopatici su volontari umani sani, per osservare il maggior numero di effetti senza scatenare gli effetti tossici della sostanza. Questa sperimentazione deve essere fatta in modo corretto per capire il vero quadro patogenetica di una sostanza, cioè il suo modo di influenzare lo stato di salute di un individuo. Valutare la potenza dei rimedi sui volontari sani e decsrivere i sintomi in modo da stabilire “il quadro del rimedio” è una pratica comune in Omeopatia.. Attualmente vengono sviluppati nuovi protocolli in sintonia con le nuove procedure farmaceutiche e della pratica della buona medicina la “GOOD MEDICAL PRACTICE” per testare vecchie sostanze e nuove non ancora testate. Ricordiamo come fatto fondamentale che l’omeopatia non viene valutata sugli animali ma sugli uomini. Tutto questo perché la malattia ha due forme distinte di espressione: le modificazioni tissutali o segnali oggettivi ed i sintomi soggettivi come il dolore, le emozioni, ed altre sensazioni. La Commissione Europea per la Ricerca in Omeopatia ha effettuato una revisione degli esperimenti di Patogenesia in Omeopatia. Ne hanno convalidato circa
150 che sono stati eseguiti in Europa dal 1945 ad oggi. I metodi utilizzati sono però cambiati molto per cui si è vista l’esigenza di sviluppare una metodologia per standardizzare e perfezionare la metodologia degli esperimenti sulle patogenesi omeopatiche. Oltre a migliorare la metodologia bisognerà:
stabilire delle regole per rifare ogni periodo stabilito le patogenesi dei rimedi
stabilire delle regole per testare le migliaia di piante, minerali, specie animali, farmaci, non ancora utilizzati come rimedi. Questo potrebbe migliorare le possibilità dell’Omeopatia nel futuro.
Ottenere delle informazioni da esposizioni a composti tossici per avere dei dati tossicologici e per individuare gli effetti collaterali dei rimedi.
Stabilire un ordine gerarchico nei sintomi, per differenziare l’aspetto quantitativo da quello qualitativo, ed individuare i sintomi più importanti.
Vediamo comunque quali sono stati fino ad oggi i metodi usati. Generalmente gli sperimentatori omeopati usano:
1. I sintomi tossicologici che sono individuati in base ai dati della tossicologia
farmacologica classica ed i segni individuali, rari, bizzarri che sono caratteristici della reazione individuale del malato al tossico.

2. I sintomi clinici intesi come i segni che individuati in precedenza, scompaiono con

l’assunzione del rimedio ad alte diluizioni.
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I sintomi patogenetici osservati dopo l’azione a dosi variabili di un rimedio che somministrato ad un soggetto sano ne provoca la variazione del suo equilibrio psicofisico.

Non possiamo, in questo lavoro ricordare tutte le ricerche storiche ma ricordiamo alcuni lavori clinici di ricerca sulle patogenesi eseguiti di recente.
Julian O. A. ha effettuato uno studio su Platina. Il lavoro è stato eseguito su 55 pazienti contro placebo con diluizioni a 4 CH, 7 CH, 30 CH, ritrovando quasi tutta la patogenesi del rimedio. Tuttavia, la mancanza del confronto statistico dei dati raccolti con Platina rispetto a quelli raccolti con il placebo rende difficile l’interpretazione.
Uno studio sul veleno di serpente Naja Nigricollis è stato fatto dal dott. G. C. Boffa. Sono
stati arruolati 20 maschi divisi in due gruppi di 10, uno con il veleno di serpente e l’altro con il placebo. Sono state usate diluizioni a 15 CH e 30 CH ritrovando delle differenze significative tra i due gruppi. Sono state descritte sia variazioni dal punto di vista laboratoristico che da quello psichico. Gli esami ematochimici hanno messo in evidenza delle variazioni della Complementemia, del VES, della neutropenia, della trombocitopenia delle variazioni del fattore VIII, dei disturbi depressivi, delle disestesia e delle parestesie. In questo caso, sono stati eseguiti con esito positivo, le analisi statistiche dei dati raccolti contro placebo.
Infine riportiamo i risultati di uno studio sul Naloxone, eseguito dal dott. Guermonprez, dove sono rispettati numerosi punti importanti negli studi delle patogenesi.
1) E’ stata scelta una sostanza farmacologicamente attiva
2) Sono state studiate numerose diluizioni fra 5 e 15 CH
3) Lo studio è stato eseguito in doppio cieco randomizzato.
4) E’ stato effettuato lo studio statistico dei risultati
Sono stati descritti fenomeni dolorosi (cefalea, dolori articolari), fenomeni psichici in generale e fenomeni endocrinologici. Notevoli sono stati i sintomi della sfera psichica come lentezza, calma, sentimenti di estraneità, angoscia e depressione, fatica, cefalea. Anche altri disturbi, come quelli digestivi, muscolari, dermatologici e della sfera ORL, pur non essendo statisticamente significativi possono essere utili dal punto di vista clinico e terapeutico.

GLI ESPERIMENTI CLINICI

Gli studi clinici in omeopatia sono in numero progressivamente crescente con risultai a volte contrastanti, non sempre positivi, ma sempre stimolanti.
Esaminiamone quindi alcuni.
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La fibromialgia primitiva è una patologia decisamente misconosciuta. All’Ospedale di Saint Bartolomew a Londra, presso il servizio di reumatologia, è stato eseguito uno studio sul trattamento omeopatico di questa malattia. Sono stati scelti dei sintomi di Rhus Toxicodendron e sono stati notevolmente individualizzati. Si è svolto uno studio in doppio cieco contro placebo ed in cross- over con circa 30 pazienti. Ogni paziente funzionava anche da proprio temine di paragone ( e non era prevista nessuna fase di wash-out tra il rimedio ed il placebo). La preparazione attiva era il Rhus Toxicodendron 6 CH. La posologia era di tre granuli al giorno. Ogni fase di trattamento durava un mese. I pazienti presentavano un miglioramento significativo di tutti i parametri studiati se venivano trattati con Rhus Tox., rispetto a quelli trattati con placebo. Questi studio pur avendo tante incertezze (la caratteristica della malattia, i dubbi sulla terapia, il piccolo numero dei pazienti), dimostra che uno studio metodologicamente rigoroso può essere condotto nella valutazione della pratica omeopatica.
La patologia reumatologica, ha interessato spesso gli omeopati. Il dott. R. G. Gibson del Glasgow Homeopatic Hospital ha pubblicato nel 1978 uno studio sulla valutazione della terapia omeopatica nella poliartrite reumatoide. Sono stati arruolati 95 pazienti trattati da 4 mesi a 10 anni con antiinfiammatori non steroidei. Sono stati divisi in base all’arruolamento in due gruppi, uno trattato con aspirina (escludendo altre terapie mediche) uno con terapia omeopatica (ma potevano aggiungere farmaci allopatici se lo desideravano), ed un altro con placebo. Dopo un anno di terapia, il gruppo con placebo non aveva avuto nessun miglioramento clinico, il gruppo trattato con l’aspirina era migliorato notevolmente per un 14%, mentre quello trattato con l’omeopatia era migliorato per un 42,6%. Inoltre il 24% di questo gruppo era migliorato, ma doveva assumere periodicamente dei rimedi allopatici, ma a dosi più lievi. Tuttavia questo studio era stato criticato perché le scelte tra i due pazienti non erano state fatte a caso, non era stata rispettata la somministrazione a cieco, il fatto che erano coinvolti molti medici poteva far pensare che le relazioni medico-paziente fossero migliori e quindi miglioravano anche il risultato.
In un secondo studio Gibson ha preso 46 pazienti con Poliartrite reumatoide. Due medici omeopati hanno classificato in due gruppi, uno con sintomi adatti ad essere trattati con un rimedio omeopatico e gli altri con sintomatologia più povera e quindi con una prescrizione omeopatica più difficile. Sono stati divisi in due gruppi in doppio cieco, uno riceveva il trattamento classico associato all’omeopatia, l’altro il trattamento classico con il placebo. I criteri d ivalutazione furono gli stessi che per lo studio precedente: scala visiva per il dolore, indice di sensibilità articolare,
circonferenza delle articolazioni delle dita, durata della rigidità mattiniera. Al termine dei tre mesi
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di studio si notava un miglioramento significativo di tutti questi parametri, per i pazienti trattati con i rimedi omeopatici, mentre non c’era nessun cambiamento per quelli trattati con placebo.
Malgrado lo sforzo fatto per il rigore metodologico di questo studio, esiste un dubbio per la persistenza dei trattamenti classici che erano di tipo estremamente diverso tra di loro.
Dopo uno studio condotto all’ospedale di Bobigny da J. C. Bourgeois sull’effetto protettivo di Arnica, sui disturbi vascolari venosi provocati dalla perfusione di cisplatino, il Prof Veroux, direttore dell’Istituto di Patologia Chirurgica dell’Università di Catania ha studiato l’effetto protettivo di Arnica 5 CH sulle vene di pazienti sottoposti a terapia perfusionale. E’ stato uno studio a doppio cieco dove si è valutata, per mezzo di criteri clinici, l’azione preventiva delle diluizioni di Arnica sulla formazione di ematomi e sull’apparizione delle flebiti superficiali in pazienti sottoposti a differenti trattamenti per via intravenosa. Inoltre è stato studiato l’effetto di Arnica sull’emostasi e sulla coagulazione sanguigna. Sono stati studiati 39 pazienti, ospedalizzati nel Reparto di Chirurgia Generale dell’Università di Catania. Di questi 21 ricevevano una alimentazione parenterale, 9 erano sotto una perfusione prolungatra, 9 erano in cura di Chemioterapia. Il rimedio omeopatico Arnica Montana veniva prescritto a 5 CH sia 1 settimana prima, che durante ed una settimana dopo del trattamento. I parametri clinici osservati erano i seguenti:
- dolore locale sentito durante il trattamento perfusionale
- la presenza locale di iperemia, edemi o ematomi
- l’accessibilità delle vene o la durata media di utilizzazione della vena e la durata totale del trattamento.
Durante la terapia è stato praticato un esame Doppler prima e dopo, e sono state valutate le piastrine e la loro aggregabilità.
I risultati hanno dimostrato una netta diminuzione del dolore: il 43% dei pazienti che riceveva
Arnica ha risentito una dolorabilità a livello del catetere contro il 100% degli altri nel gruppo placebo. Il 29% dei pazienti che assumeva Arnica presentava un’iperemia locale contro l’89% del gruppo placebo. La comparsa degli edemi era del 10% nel gruppo di Arnica e dell’78% nel gruppo placebo. Infine solo i malati sotto placebo presentavano uno o più ematomi.
Le vene dei pazienti trattati con Arnica presentavano un aumento significativo della loro
durata media di utilizzazione sia nei pazienti in trattamento perfusionale che in quelli in alimentazione parenterale: 37 giorni contro 18 giorni.
Il numero delle piastrine non è stata modifica dalla terapia, mentre si è osservato un’aumento
della loro aggregabilità.
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L’esame Doppler vascolare ha dimostrato che nessun paziente trattato con il Verum aveva avuto alterazioni del flusso sanguigno, mentre i pazienti sotto placebo avevano avuto per il 75% delle turbe aspecifiche nel flusso, il 25% un rallentamento del flusso sanguigno, il 25% una trombosi venosa a livello perfusionale.
La dottoressa Jennifer Jacobs, medico omeopata e Dirigente de dipartimeto di Epidemiologia della scuola di Sanità Pubblica dell’Iniversità di Washington a Seattle, ha studiato l’efficacia del trattamento omeopatico nella cura della diarrea acuta dell’infanzia. Questo studio effettuato presso l’Università di Leone in Nicaragua, è stato realizzato in doppio cieco randomizzato contro placebo su 81 bambini da 6 mesi ai 5 anni, che soffrivano di diarrea acuta. ( presenza almeno di tre scariche acute di feci molli nelle 24 ore precedenti).
Sono stati esclusi i bambini con diarrea grave e con rischio di disidratazione, mentre quelli con disidratazione moderata sono stati sottoposti a reidratazione orale con il protocollo OMS.
Il trattamento omeopatico è stato scelto con una tecnica di individualizzazione utilizzando un
programma di gestione dati informatizzato (RADAR). I rimedi somministrati con più frequenza sono stati Podophyllum, Chamomilla, Arsenicum Album, Sulfur, Mercurius vivus. I rimedi prescritti con frequenza maggiore sono stati Podophyllum, Chamomilla, Arsenicum Album prescritti nel 60% dei casi. L’analisi statistica è stata rigorosa e completa.
Il gruppo trattato ha mostrato una riduzione statisticamente significativa (P<0,05) della durata
della diarrea, definita come numero dei giorni necessari per arrivare a meno di 3 scariche non formate per due giorni non cnosecutivi. Inoltre è emersa una differenza non significativa (P<0,05) fra i due gruppi per quanto riguarda il numero delle scariche quotidiane dopo 72 ore di trattamento. La riduzione statisticamente significativa della durata della diarrea nel gruppo trattato, ind ica non solo che il trattamento può essere proposto nella terapia della diarrea acuta dell’infanzia
Non possiamo dimenticare in questo breve riassunto dei lavori di Ricerca Clinica, le importanti ricerche svolte sui problemi di allergologia da D.s. REILLY e coll..
Dopo aver eseguito nel 1985 uno studio pilota sulla possibilità dell’uso di Pollens 30 CH nella rinite allergica, ha ripetuto nel 1986 lo stesso lavoro in doppio cieco randomizzato contro placebo.
Erano eleggibili, in questo studio, i pazienti che soffrivano di questo disturbo da almeno due anni, e che avevano almeno 5 anni d’età. Non dovevano aver assunto anti- istaminic, né disodiocromoglicato, ne steroidi locali da almeno 24 ore, né steroidi per via sistemica da almeno 8 giorni. Quando era possibile, è stato effettuato un test cutaneo ed un dosaggio delle IgE specifiche. I
pazienti sono stati allora randomizzati - con un metodo in doppio cieco – per un trattamento sia con
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placebo sia con una preparazione omeopatica di Pollens alla diluizione di 30 CH. Questo è stato realizzato a partire dalle dodici specie, le più comuni, come causa della rinite allergica in Gran Bretagna. Lo studio è durato 5 settimane durante le quali i pazienti avevano il diritto di assumere, se necessario, un antiistaminico: la chlorphenamina. La valutazione è stata effettuata dallo stesso paziente e dal suo medico, valutando uno score sintomatico su una scala visuale di 100 mm. I soggetti dovevano ugualemente segnare il consumo dei farmaci.
Lo studio è stato fatto dal Primo Maggio al 18 Giugno 1984. Su 162 pazienti iniziali, 154 hanno portato a termine lo studio; uno studio statistico precedente aveva messo in evidenza che necessitavano 140 pazienti per avere una differenza statisticamente significativa tra i due trattamenti (con una soglia di errore del 5%). Si trattava di una coorte notevolmente omogenea. Su 96 pazienti ai quali erano state dosate le IgE specifiche, solo 12 presentavano delle allergie crociate a più antigeni. I risultati sono chiaramente in favore del trattamento omeopatico. La riduzione sulla scala visiva è stata 17,2 mm nel gruppo trattato contro i 2,6 mm del gruppo placebo. Questo risultato era molto significativo p=0.02 (cioè solo il 2% delle possibilità che il risultato fosse dovuto al caso).
Lo stesso risultato è stato ottenuto, quando è stato il medico a valutare la sintomatologia sulla scala visuale (p=0.05). Allorché i pazienti sono stati stratificati in coorti, che erano state esposte allo stesso quantitativo di pollini, la differenza era ancora più significativa 8p=0.01). Il consumo di antiistaminici durante la cura è diminuita per entrambi i gruppi. Tuttavia il gruppo placebo ne assumeva almeno il doppio del gruppo in trattamento omeopatico.
Un nuovo studio eseguito nel 1994 è stato eseguito sui pazienti affetti da asma allergico.
Il lavoro è stato eseguito su 28 pazienti che hanno ricevuto sia una diluizione a 30 Ch dell’allergene al quale erano sensibili (test cutanei ed anamnesi), sia un placebo di uguale forma farmaceutica (globuli) ed ugualmente dinamizzato. Gli allergeni utilizzati erano stati principalmente gli acari della polvere. Il trattamento è stato dato sotto forma di dosi. Tre assunzioni giornaliere divise nelle 24 ore per evitare che il ritmo circadiano potesse influenzare in qua lche modo la sensibilità del paziente al trattamento. I rimedi sono stati somministrati dalla farmacia dell’ospedale.. Il controllo è stato effettuato quattro settimane dopo. La valutazione è stata fatta su una scala visuale dei sintomi. I pazienti trattati con i rimedi omeopatici erano migliorati 9 su 11, mentre quelli che ricevevano il placebo erano migliorati 5 su 13 con una differenza statisticamente significativa (p=0.003). Sono stati misurati anche dei criteri oggettivi: il risultato dei test di funzionalità respiratoria (misura della capacità vitale e del volume espiratorio massimo per secondo) e della reattività bronchiale all’istamina. I risultati sono a favore del gruppo trattato con
l’omeopatia, ma non sono stati statisticamente significativi.
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Questo studio è stato molto osteggiato per la scarsa quantità di pazienti sottoposti a trattamento. Ma per ottenere una differenza statisticamente significativa con un numero così basso occorre una grande efficacità del trattamento.
E’ stata fatta una meta-analisi su questi tre studi del’immunoterapia omeopatica, per verificare
l’esistenza di una risposta placebo. L’attenzione degli Autori si è appuntata sulla riproducibilità delle prove del fatto che una diluizione omeopatica presenti un effetto maggiore rispetto ad un placebo e non sull’esame degli effetti clinici quotidiani dell’immunoterapia omeopatica..
I risultati misurati su una scala visiva analogica, dimostrano un adifferenza statisticamente significativa per lo studio sulle pollinosi (p=0.02 per lo studio pilota, p=0.001 per lo studio principale) e per quello sull’asma allergico di p=0.003.
L’analisi statistica globale fatta su 202 pazienti mostra una differenza statisticamente
significativa con p=0.004.

METANALISI DELLE RICERCHE IN OMEOPATIA

Con il termine di Revisioni Sistematiche, si intende un riassunto di pubblicazioni primarie che dichiara apertamente gli obiettivi, i materiali ed i metodi e che è stato realizzato in base ad una metodologia chiara e riproducibile. Secondo T. Greenhalgh la metodologia per una revisione sistematica di studi clinici controllati e randomizzati dovrebbe:
Stabilire gli obiettivi della revisione di studi clinici controllati randomizzati e delineare i criteri di inclusione
Ricercare gli studi che sembrano soddisfare i criteri di inclusione
Elencare le caratteristiche de ciascuno studio reperito e valutarne la qualità e la metodologia
Applicare i criteri di inclusione e giustificare le eventuali esclusioni
Mettere insieme la maggior quantità di dati possibili, ricorrendo all’assistenza degli autori degli studi primari
Analizzare i risultati degli studi inclusi, adoperando metodiche di aggregazioni statistica dei dati (metanalisi)
Confrontare con analisi alternative, quando appropriate e possibili
Redigere un riassunto critico della revisione che riporti gli scopi, descriva i materiali ed i metodi e riporti i risultati.
Naturalmente, bisogna evitare di cadere in forzature. Linus Pauling, vincitore di un Premio
Nobel per la Medicina, volle provare la teoria sulla Vitamina C come rimedio preventivo del tumore
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e come antiossidante. Allora citò solo gli studi che a lui erano favorevoli. Realizzò quindi degli errori sistematici di selezione, utilizzando solo ciò che gli conveniva, Infatti di fronte ad una ricerca sistematica completa queste evidenze sembravano molto scarse. Il suo entusiasmo per la causa aveva preso il sopravvento sulla sua obiettività scientifica.
Ecco allora, secondo Greenhlagh, quali sono i vantaggi delle revisioni sistematiche :
1. La chiarezza nell’indic are i metodi di inclusione limita gli errori sistematici nell’accettare e rifiutare uno studio.
2. Le conclusioni sono, di conseguenza, più affidabili e precise.
3. Grosse quantità di informazioni possono essere assimilate velocemente da chi si occupa di salute pubblica, dai ricercatori, e da coloro che si occupano di politica sanitaria.
4. Si riduce il ritardo esistente tra le scoperte scientifiche e l’applicazione di strategie efficaci
nella diagnosi e terapia.
5. I risultati tratti dai diversi studi possono essere comparati, in modo da determinare la generalizzabilità delle conclusioni e la omogeneità dei risultati.
6. Si possono valutare le ragioni di una eventuale eterogeneità dei risultati.
7. Le revisioni sistematiche quantitative (metanalisi) aumentano la precisione dei risultati complessivi.
Naturalmente tutte queste indicazioni non sono valide per le riceche cliniche nel settore della Medicina Omeopatica (strategie di terapia, generalizzazioni, omogeneizzazioni), ma il principio di produrre lavori con informazioni chiare, leggibili, confrontabili e ripetibili deve essere utilizzato anche per la ricerca in Omeopatia.
Con il termine di Metanalisi si intendela sintesi statistica dei risultati numerici di più studi clinici che affrontano il medesimo argomento. Il lavoro del metanalista comprende, quindi oltre ad una rimasticazione dei dati anche una raccolta di informazioni sui criteri di inclusione, sulle dimensioni del campione, sulle caratteristiche iniziali dei pazienti, sul tasso di ritiro dalla spermentazione e sui risultai degli esiti primari e secondari di tutti gli studi che sono stati inclusi. I risultati di questi lavori di metanalisi di solito vengono riportati su grafici detti «forest plot» oppure
«blobbogramma» (presnti in un programma computerizzato Meta View), che consente rapidamente
di mettere i risultati in evidenza per definire un determinato obiettivo e comportamento.
Linde K. E coll. Nel 1994 hanno compiuto una revisione critica dei lavori in Omeopatia utilizzando l’approccio critico e selettivo di Oxmann e Guyatt, per vedere se era possibile con la valutazione delle prove esistenti, confutare o convalidare l’efficacia clinica delle strategie di
trattamento omeopatico. Della ricerca effettuata in letteratura sono emerse in totale 41
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pubblicazioni identificabili come documenti di rassegna. Purtroppo la maggior parte dei lavori sono stati di difficile reperimento perché non sono presenti in MEDLINE ed EMBASE. Di queste 9 pubblicazioni soddisfacevano i criteri di ammissione,. Soltanto due degli studi incisi erano stati pubblicati si MEDLINE. Sei documenti recensivano aree specifiche di ricerca dell’omeopatia o dei proving dei rimedi Omeopatici.
Klejinen et all., hanno identificato 107 studi controllati, di questi 14 riguardavano l’omeopatia
classica, 58 la prescrizione omeopatica in base alla diagnosi clinica allopatica, 26 i rimedi omeopatici prescritti come complessi, 9 i rimedi isopatici. L’asegnazione random venive ritenuta valida in 68 studi clinici. Il risultato di queste analisi, era globalmente favorevole all’Omeopatia. La valutazione dei risultati dei documenti primari non sempre è soddisfacente. La valutazione della comparabilità degli studi primari non sempre è ripetibile.
Di conseguenza vediamo che solo attraverso uno studio accurate e riproducibile si possono acquisire prove che possono modificare l’atteggiamento degli scettici verso le terapie omeopatiche,

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