La divulgazione dei dati
ISTAT riguardanti le scelte terapeutiche degli italiani
sembra stia suscitando una crescente attenzione da parte
dei mezzi di informazione.
La notizia che ormai
nove milioni di italiani si rivolgano per la tutela della
propria salute non solo alla medicina tradizionale,
insegnata nelle università dello stato e utilizzata,
prescritta e burocratizzata dagli organi preposti del
servizio sanitario nazionale, ma anche alle cosiddette
medicine alternative sta causando clangore e polemica
crescente sulla validità di tale scelta. Il tutto assume
ancora maggiore rilevanza se si considera che i dati
statistici mostrano che tale numero sta aumentando in
progressione geometrica col passare del tempo.
Questo sembra essere
mal sopportato dai sostenitori della medicina
tradizionale, che nel giro di pochi anni sono passati nel
trattare il fenomeno dal sorriso di scherno
allinvettiva violenta se non addirittura, usando
una locuzione in burocratichese, a ipotizzare la
criminalizzazione degli operatori della salute che si
avvalgono di tecniche terapeutiche non tradizionali.
Notissimi nomi del mondo della medicina si sono espressi
in maniera pesante contro tutto ciò che non era
contemplato dalla medicina accademica.
Sinceramente tuttavia
quello che mi ha più fatto riflettere sono le parole e
la posizione espressa in particolare da due insigni
scienziati quali Levi Montalcini e Dulbecco a difesa di
Piero Angela presunto reo di avere effettuato, per una
volta, una trasmissione sfortunata, nella quale il
conduttore si schierava patentemente a sfavore
dellutilità dei medicinali omeopatici,
transducendo motivi per la verità che dimostravano
tutto e il contrario di tutto meno quello che
andava dimostrato.
Come professore di
chimica generale mi guardo bene dal sottoscrivere le
teorie sulle quali si basa lomeopatia anche perché
il criticare il suo fondatore Hahnemann, che, quando le
ha formulate, non sapeva nemmeno dellesistenza
delle molecole, mi farebbe sentire come un astronomo
moderno che sproloquia sullinsussistenza del
sistema tolemaico. Guardo piuttosto con sgomento quegli
uomini di scienza che, dimenticando principi fondamentali
della fisica, si sono dilettati, al giorno doggi, a
formulare ipotesi improbabili sulla natura della
cosiddetta acqua omeopatica supportate da parimenti
improbabili evidenze sperimentali.
Tralascio altresì il
fatto che la gran parte di articoli che ho letto
sullargomento riportasse opinioni che mi sembravano
espresse sovente da persone poco pratiche non solo sulla
comune metodologia scientifica, ma avessero anche un
senso approssimato delle dimensioni delle cose,
confondendo le pulci con gli elefanti. Per finire
dichiaro di non avere mai sentito il bisogno di curarmi
con lomeopatia, giacché mi piacciono le sensazioni
forti e mi basta la medicina tradizionale con i suoi
sovradosaggi. Essenziale il medico
bravo
Lunico
problema che ritengo essenziale è quello di farmi curare
da un medico bravo, che sia padrone della diagnosi facile
e equilibrata (fatto questo non troppo difficile) e le
cui scelte terapeutiche abbiano un fondamento
farmacologico il cui aggiornamento non sia dovuto solo
allinformatore, che lo ha visitato nei giorni
precedenti (ricerca questa molto più difficile). Resta
il fatto tuttavia che nel recente passato, ululando per
una diagnosticata sciatica, abbia passato dieci giorni
infernali, amorevolmente assistito da un gruppo di medici
di supposto alto livello che correggeva la prescrizione
di tutti i farmaci preposti dal dettato della medicina
tradizionale facendomi raggiungere un risultato nullo e
che un non laureato esperto in massaggi energetici mi
abbia fatto guarire massaggiandomi una spalla per minuti
due. La quale cosa non ha certo suscitato in me
sentimento di ammirazione nei confronti della perfezione
della medicina accademica.
La
purezza dell'acqua
Ritornando
allomeopatia, tema che per la sua diffusione sembra
destare la diatriba più aspra, come chimico non posso
fare a meno di sottolineare un aspetto per me
fondamentale.
La purezza
dellacqua usata nel processo di diluizione è ben
lungi da potersi considerare totale. Da un punto di vista
tecnologico non siamo in grado di produrre acqua che non
contenga una serie di impurezze, che qualitativamente e
quantitativamente superano la concentrazione del preteso
principio attivo.
Poiché tali impurezze
sono spesso utilizzate anchesse come principi
attivi, ho serie perplessità sulla definizione chimica
di cotale sistema. Un altro aspetto da sottolineare
concerne quello che viene definita linterazione
farmaco-recettore ovverosia la formazione di un addotto
del farmaco con il sito appropriato presente nel nostro
sistema biologico.
Tutti gli studenti di
chimica sanno che la formazione di tale addotto può
avvenire in misura significativa solo se:
A) linterazione
è sufficientemente forte
B) il numero delle
specie interagenti per unità di volume (leggi: la
concentrazione) è sufficientemente alto.
I principi elementari
della termodinamica chimica sono molto tassativi a questo
proposito. Per cui, se si ammette questo meccanismo, è
difficile immaginare come si possano formare un numero
sufficiente di addotti diminuendo la concentrazione di
una delle specie interagenti (i.e. il farmaco) a meno che
laddotto non sia caratterizzato da una
straordinaria stabilità.
Questo dovrebbe farmi
sostenere che i cultori dellomeopatia vivono in una
sorta di Sodoma e Gomorra del mondo della scienza, come
per certo fanno coloro che cercano di manomettere i
principi fondamentali della fisica con teorie improbabili
fino a rasentare lumorismo.
Resta il fatto che i
miei amici farmacologi, che per inciso sono tutto meno
che cultori dellomeopatia, e numerosi lavori di
letteratura sostengono che la risposta recettoriale
(i.e. la reazione del sistema) nei confronti del farmaco
spesso cambia drasticamente allaumentare della
diluizione dello stesso. Segnalo altresì
lesistenza di ricerche fatte circa la
sperimentazione omeopatica da dei miei colleghi chimici
inglesi, in principio scettici, e pubblicate sul
diffusissimo Chemistry in Britain che confutano almeno in
parte le opinioni che ho espresso e che professo nella
mia vita di docente e di ricercatore.
Per finire mi ha
particolarmente impressionato una serie di lavori fatti
da un ricercatore americano (Bonavida) che ha dimostrato
come lefficienza di un principio attivo, usato come
distruttore di cellule cancerose, aumentasse in misura
significativa allaumentare della diluizione del
farmaco stesso, anche se le concentrazioni usate erano
ben lontane da quelle pretese essere efficaci
nellalta diluizione. Non mi sembra una cosa da poco
e ai miei occhi apre un mondo che mi sembra
inesplorato.
Solo questo fatto
dovrebbe far promuovere una intensa ricerca nella
sperimentazione di questi effetti, ma per ora sembra che
sia destinato a rimanere solo curiosità.
Cè qualcosa che
sfugge alle mie aspettative che mi portano ad essere meno
determinista di quanto la mia prepotenza culturale
vorrebbe. Per non esaltanti motivi di età, mi sono
spesso trovato nella mia esperienza di ricercatore di
fronte a qualcosa di inesplicabile. Quando tuttavia la
spiegazione di queste stranezze è saltata fuori,
invariabilmente col senno di poi si è trattato di
qualcosa di banale e di ovvio.
Ragionando per ipotesi
salta fuori per prima cosa la considerazione che buona
parte dei farmaci omeopatici utilizzati non sono poi
così diluiti come si vorrebbe far credere.
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Essi contengono da un
miliardo a diverse decine di migliaia di miliardi di
particelle, che sono pur sempre una quantità
ragguardevole, e molto spesso in un numero maggiore delle
molecole che controllano molti dei meccanismi che
determinano i nostri processi biologici. Non ritengo
pertanto che ci sia nulla di strano che questi farmaci
nelle quantità somministrate possano influenzare tali
processi. Come seconda cosa tengo a sottolineare il fatto
che per definire un sistema da un punto di vista
fisico, chimico o biologico bisogna definirne i parametri
che lo controllano e la tecnologia attuale non è in
grado di definirli. Il nostro organismo è controllato da
processi di autorganizzazione la cui complessità ci è
sconosciuta e a maggiore ragione ci è sconosciuto il
loro comportamento indotto dalle perturbazioni
esterne. Per
finire, come uomo della strada, ritengo che sia
abbastanza singolare che milioni di italiani, così come
un numero ancora più grande di europei, continuino
a curarsi da secoli a proprie spese senza esperirne
beneficio e che ritenga altresì ridicolo che si possa
parlare di effetto placebo quando tali terapie vengono
applicate anche a neonati e animali. Diversi
approcci terapeutici
Di certo ritengo
che lapproccio terapeutico dellomeopata sia
più soddisfacente per certuni, dal momento che egli è
solito ascoltare, considerare e curare un uomo afflitto
dal raffreddore e non, come accade sovente in
medicina tradizionale, vedere un raffreddore con intorno
un uomo.
Credo altresì che in
buona parte il fenomeno sociologico debba essere in parte
imputato alle terapie sconsiderate che purtroppo, come
accade in tutti i settori della società, alcuni
operatori della salute suggeriscono vuoi per pigrizia che
per ignoranza, utilizzando con troppa leggerezza i
farmaci convenzionali in dosi sconvenienti.
Ma non può essere
solo il ricorso all iperreazione nei confronti
della malattia praticato con solerzia da troppi
medici la causa dellesplosione degli utenti delle
medicine alternative e dellomeopatia in
particolare.
Mi sembra un punto di
vista troppo semplicistico.
Ripensando quindi alla
condanna generale da parte di persone che tutti noi
dobbiamo avere come punto di riferimento per lo sviluppo
della scienza, mi viene in mente lapertura mentale
con la quale verso la metà del XIII secolo fu accolto il
ritorno di Giovanni dal Pian del Carpine, francescano e
legato pontificio in Mongolia, che si provò a mostrare
degli aghi che nel suo viaggio aveva visto utilizzare a
scopo curativo (leggi: pratica dell agopuntura).
Per risposta gli fu mostrata una catasta di legna con la
quale si sarebbe potuto approntare un
roghettino a lui destinato se si fosse
riprovato a propalare queste notizie.
Non so se quanto si
narra corrisponda a verità, ma una volta disattesa
liperbole della storia, non mi sembra che
latteggiamento sia troppo mutato anche se dal mio
punto di vista culturale lo potrei trovare
giustificato.
Patrimonio
culturale
Ricordo le parole
di Gandhi, un uomo del secolo passato che ritengo
immenso e il cui insegnamento è ben lungi
dallessere popolare nella nostra civiltà
occidentale, quando diceva ai suoi discepoli: Le
opinioni che ho formulato e le conclusioni alle quali
sono giunto non sono definitive: posso cambiarle
domani.
Le diverse culture
delle popolazioni del mondo hanno prodotto un patrimonio
culturale di cui tutti dovremmo essere orgogliosi. Tutte
quante hanno proposto una o più di una filosofie di
scelta terapeutica. Esse si basano su modelli che si
richiamano a concezioni diverse del malato e della
patologia che lo affligge. Il problema è quello di
tenere presente di non confondere il modello con la
realtà, perpetrando un errore che di fatto ha
caratterizzato tutta la scienza dei secoli passati. Una
apertura mentale possibilista appare la più appropriata,
ma non mi sembra che questa concezione mentale venga
usualmente perseguita.
La moderna filosofia
della scienza è portata a vedere il mondo fisico come un
sistema caotico, caratterizzato da un comportamento
imprevedibile, dal momento che piccoli cambiamenti
inducono effetti così amplificati da rendere vana
qualsiasi prevedibilità.
In altre parole il
divenire di qualsiasi sistema fisico agli occhi degli
scienziati moderni è assolutamente indeterminato, dal
momento che il principio che lo governa è quello della
casualità.
Di fatto nel pensiero
moderno la passata aspettativa della ricerca di una
rigida concatenazione causa-effetto nei fenomeni naturali
viene immancabilmente a cadere e questo purtroppo ha come
implicazione il fatto che le ambizioni dei ricercatori a
trattare deterministicamente un sistema complesso come
lorganismo umano vanno drasticamente
ridimensionate.
Tuttavia la speranza
di arrivare a una sintesi dei fenomeni osservati e di
formulare un metodo di previsione di quelli che non lo
sono ancora stati deve rimanere, senza che si abbia
mortificazione del sentimento di sfida che anima l
uomo nei confronti del mondo.
Basta guardare al
nostro mondo con maggiore modestia, ripensare ai nostri
errori e acquistare la consapevolezza dei nostri limiti
senza addormentarsi nel confortevole torpore di una
presunta omniscienza.
Nel manifesto scritto
dal chimico canadese Polany e firmato da cento premi
Nobel, fra i quali Rita Levi Montalcini , si legge Per
sopravvivere nel mondo che abbiamo trasformato dobbiamo
abituarci a pensare in un modo nuovo.
In questo sono
pienamente daccordo con loro, mentre lo sono meno
quando assumono posizioni che a un giudizio affrettato
potrebbero sembrare culturalmente dirigistiche.
(*)Professore di
Chimica Generale
Università
di Firenze
Breve nota
biografica
Andrea Dei
è nato nel 1943. Laureato in Chimica nel 1967, è
professore di ruolo presso la facoltà di Farmacia
delluniversità di Firenze dal 1983 e, attualmente,
titolare del corso di Chimica Generale ed
Inorganica per il conseguimento della laurea
in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche.
Nellanno
accademico 19911992 ha svolto attività di ricerca
e di insegnamento presso lUniversità di California
a San Diego (UCSD),
E autore di
alcuni libri di testo universitari e divulgativi e di
circa cento pubblicazioni in lingua inglese su riviste
internazionali di altissimo prestigio. Tali pubblicazioni
riguardano la termodinamica degli equilibri chimici in
soluzione acquosa, la sintesi e la caratterizzazione
chimico fisica di composti inorganici, la progettazione e
la sintesi di materiali con proprietà fisiche
predeterminate di potenziale applicazione nel campo
dellelettronica molecolare. Molte di tali
pubblicazioni, stando ai dati ISI sul numero delle
citazioni che appaiono sulla letteratura internazionale,
hanno avuto un impatto significativo sullo sviluppo della
cultura chimica moderna del settore.
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